
Un post lungo, troppo lungo, ma chi avrà la bontà di leggerlo, capirà cosa abbiamo passato per 22 ore, grazie a Trenitalia.
3 febbraio 2012. Sono al
lavoro, la mattina inizia a nevicare su Roma, dopo pochi minuti si capisce che
la città non è in grado di reagire a pochi fiocchi di neve: chi deve coordinare
l’emergenza è impreparato; le previsioni parlavano di neve, ma i geni che
dovevano organizzare la risposta efficiente non lo sapevano.
Pensando al fatto che i treni già normalmente fanno
ritardo, avevo provato a chiamare la co.tra.l; due ore in attesa inutilmente,
nessun operatore ha risposto. Consulto il piano neve di Trenitalia e scopro con
piacere, che sulla linea Roma – Cassino, i treni sono tutti garantiti. Parto
con la sicurezza che, se il piano neve redatto da Trenitalia dice che non ci
sono problemi, presto arriverò a casa.
Alle 13:38 esco dall’ufficio e mi avvio verso la stazione. Per le
strade già si vede il caos, la città non sa rispondere alla neve, nessuno si
attiva per rendere sicuri i marciapiedi. Sono le 13:50, arrivo a Termini; qui è
la disorganizzazione a farla da padrona. Migliaia di persone vagano da un posto
all’altro per cercare un treno per rientrare a casa. Provo a capire quale treno
prendere: i tabelloni danno orari che poi vengono smentiti, non c’è il
personale per fornire informazioni. Sul tabellone leggo che il treno per Campobasso
via Cassino (la mia Itaca) parte alle 14:38, aspetto di conoscere il binario,
ma all’improvviso scompare il treno dai tabelloni, non soppresso o nuovo
ritardo, scomparso. Ovviamente non c’è nessuno che fornisca notizie, nemmeno
tramite altoparlanti. Guardo sui tabelloni per trovare un’altra soluzione e
vedo due possibilità: un treno per Cassino che parte alle 14:25 ma senza che
fosse specificato il binario e un treno che parte alle 14:40 (era quello delle
12:20) dal binario 21. Scelgo di prendere il secondo. Non ci sono posti a
sedere ma salgo lo stesso, l’importante è arrivare a casa. Alle 14:49 iniziamo
a muoverci, dopo un po’ trovo un posto a sedere su una carrozza al secondo
piano, è abbastanza calda e mi ritengo fortunato, una grande fortuna come
capirò a mie spese durante la lunga Odissea che stava per iniziare.
Alle 16:02 siamo bloccati nella stazione di Colle Mattia (a venti
minuti, solitamente, da Roma Termini); nessuno del personale di Trenitalia ci
dà notizie, alcuni passeggeri ricevono informazioni via telefono da amici e
veniamo a sapere che qualche ramo o albero è caduto sui binari nei pressi della
stazione di Morolo, non un gran problema, penso, per i potenti mezzi di
Trenitalia, gestita dal super manager Moretti. Che grave errore ho fatto:
Moretti non è capace di gestire la normalità, figurarsi la neve!
Continuano ad arrivare notizie e l’albero si trasforma in frana,
ormai "Radio pendolari" è impazzita.
Alle 17: 20 finalmente si riparte, la solita “Radio pendolari”
dice che il problema è risolto, Trenitalia continua a tacere, il personale sul
treno resta nascosto e si comporta come le tre scimmiette: non vede, non sente,
non parla.
Ore 17:52 bloccati a Zagarolo; continua la strategia della
gestione dell’emergenza neve messa in atto da Trenitalia: silenzio, silenzio e
silenzio.
Intanto, il tempo passa; alle 19:44 siamo ancora abbandonati a
Zagarolo senza nessun tipo di assistenza e senza informazioni. Scopro di aver
bisogno del bagno; magnifico, i bagni sono inutilizzabili: uno aperto nella mia
carrozza, è diventato un acquario, l’urina ormai dal water cade nel bagno.
Decido di resistere, tanto arriverò a casa.
“Radio pendolari”, alle 20:21, dice che i binari sono ancora
ostruiti dai rami degli alberi (dopo 4 ore ancora non erano riusciti a risolvere
il problema?! Ci sono le sequoie, sui binari?). La notizia, al limite del
ridicolo (o, meglio, del grottesco, vista la situazione che stavamo vivendo), è
che gli operai che dovevano liberare i binari erano rimasti bloccati sulla Via
Casilina (ma che auto hanno utilizzato per l’emergenza? La vecchia panda di mio
nonno? Mezzi adatti a muoversi sulla neve non esistono, per Trenitalia?)
Alle 21:43 la protezione civile (mi sembra di aver letto sulle
giacche che era di San Cesareo) e alcuni vigili urbani ci hanno dato una
bottiglia d’acqua; dopo un po’, ci hanno portato un bicchiere di tè (meglio
evitare di dire che contenitori usavano), una crostatina o una fetta di
panettone con i canditi. Io, che sono fortunato, ho barattato il pezzetto di
panettone con un succo di frutta all’albicocca (sono un viziato lo so).
Continua a passare il tempo e “Radio pendolari”, l’unica radio che
ci dà notizie, dice che stanno organizzando il palazzetto dello sport di
Zagarolo per farci trascorrere la notte lì; intanto, il freddo aumenta, la neve
cade abbondante e noi siamo senza cena e senza coperte; nessuno si vede in
giro, Trenitalia continua con la gestione perfetta dell’emergenza: silenzio,
silenzio, silenzio.
Vengo a sapere da altri passeggeri che nelle prime carrozze stanno
coordinando il trasbordo su pullman; poi scopro, parlando con quei passeggeri,
che non li stavano portando al palazzetto dello sport o in altri locali, ma
avanti e indietro (per due volte) al casello dell’autostrada per condurci,
presumibilmente, a casa. Che idea geniale: l’autostrada era chiusa e per ben
due volte le stesse persone sono state portate avanti e indietro dalla stazione
al casello. Visto l’inutile tentativo, vengono rispediti sul treno.
Alle 23:40 circa mi chiamano dalla redazione del Tgcom (stavano
seguendo la mia diretta su Twitter), per chiedermi se potevo intervenire in
diretta telefonica. Lo faccio volentieri, pensando che forse qualcuno, sentendo
la notizia, si sarebbe deciso ad attivare i soccorsi.
Passa altro tempo, sempre abbandonati: senza cibo, coperte o
informazioni.
Ore 1:51: saliamo su un treno appena arrivato a Zagarolo, un treno
già pieno che con noi diventa colmo, un vero carro bestiame freddo e inadatto a
proseguire. Restiamo in piedi e al freddo su questo treno con la speranza di
partire; alle 2:16 il treno lentamente si muove. Alle 2:25 mi segnalano su
Twitter che la presidente della regione Lazio si vantava dell’efficienza della
task force regionale e affermava che a Zagarolo il problema era risolto e
avevano fornito coperte e pasti caldi a tutti. La smentisco immediatamente, mi
chiedo con che faccia ancora questa signora non si sia dimessa. Ha due scelte:
o è bugiarda o incapace, sta a lei scegliere; io, da cittadino elettore, non
posso che dire che qualsiasi delle due cose essa sia, l’unica scelta
responsabile è dimettersi immediatamente.
Lentamente prosegue il viaggio: 2:34 Labico, 2:44 Valmontone, 2:54
Colleferro. Altri disperati salgono sul nostro treno.
Alle 3:08 ripartiamo da Colleferro.
Alle 3:36 serve un medico sul treno; ovviamente, da abbandonati da
Trenitalia, cerchiamo da soli un medico; altri passeggeri trovano una
dottoressa che interviene. Altre persone si sentono male, ma sono molto lontane
da dove sono io e non so come risolvono, qualcuno allerta il 118, si dice che
non abbiano mezzi per intervenire. Raccolgo tutte queste voci perché, in quel
momento, ero alla ricerca di un bagno: ormai era troppo che trattenevo. Trovo,
dopo tante carrozze, un bagno semi agibile e svuoto la mia vescica ormai
arrivata al limite. Mi sento meglio, torno al mio posto e inizio a parlare con
alcune persone. Mi piace ascoltare le persone e sentire le loro opinioni. Da
bravi italiani, ci sono mille soluzioni facili da mettere in pratica; qualcuno
urla contro il personale di trenitalia, altri, probabilmente per essere voci
fuori dal coro, giustificano il personale sul treno perché <<poverini,
loro non sanno nulla; è colpa dei “capoccioni” che gestiscono da Roma>>.
Secondo me, il personale sui treni ha una grave colpa: non si sono
preoccupati di darci notizie, non hanno pensato a farci avere coperte o cibo,
loro sono responsabili di noi passeggeri. La colpa di aver mandato treni
inadatti e di aver fatto proseguire il viaggio con tutti questi rischi è di
Moretti, manager ben pagato, e dei responsabili che da Roma davano direttive al
caldo dei loro uffici.
Intanto siamo fermi nei pressi di Ferentino, perché il treno ha
problemi.
Per fortuna c’è una ragazza (credo un capotreno) che prova a dare
informazioni: sa poco, ma almeno ci prova; i suoi colleghi continuano ad
attuare la strategia di Trenitalia: silenzio a tutti i costi. La capotreno ci
dice che faranno un reset e ripartiremo. Assisto a scene ad alto rischio:
alcuni passeggeri discutono animatamente con un capotreno che compare all’improvviso.
Il capotreno non dà notizie, non capisce che i passeggeri sono esasperati dalla
negligenza di loro operatori e risponde in modo piccato, dimenticando che il
suo dovere era permettere ai passeggeri di viaggiare in sicurezza e di
preoccuparsi del nostro benessere (ha scelto lui di fare il capotreno, mica noi
passeggeri lo abbiamo costretto a fare questo lavoro?).
Alle 4:49, a 100 metri dalla stazione di Frosinone, siamo
nuovamente bloccati; questa volta la capotreno (la ragazza che prova a fare il
suo dovere) è visibilmente preoccupata. Inizia di nuovo l’attesa; la capotreno
ci dice che arriverà un treno da Morolo per spingerci, per questi pochi metri,
fino alla stazione di Frosinone, poi arrivati lì si deciderà il da farsi. Cioè,
dopo ore che siamo fermi, bisogna arrivare in stazione per decidere come
proseguire. Strategia assurda, gestione vergognosa, nessun tipo di risposta
alla “tragedia” che stavamo subendo, per colpa di Trenitalia.
Arriva il personale del 118 sul treno, soccorrono alcuni passeggeri,
li blocchiamo: un signore anziano ha bisogno di assistenza. Parlo con un
ragazzo del 118 e lui non riesce a credere alle nostre parole.
Inizia il tira e molla per spingerci in stazione, riusciamo ad
arrivare.
Visto che sono ottimista, avevo immaginato che ad accoglierci ci
fosse la protezione civile con pasto caldo e coperte (il treno era gelido); immaginavo
che, a capo del gruppo d’accoglienza, ci fosse il sindaco Marini o qualche suo
rappresentante, o che, nella peggiore delle ipotesi, il bar della stazione fosse
aperto… ed invece niente di niente, anche il bar chiuso. Ad essere onesto devo
dire che ho assistito ad un intervento della protezione civile: un membro
(parola adatta a descrivere una testa di membro) ha fatto la foto ad un altro
membro come ricordo vicino al treno.
In stazione c’è stato il summit tra ferrovieri e dopo tutto il
tempo che eravamo stati fermi (dalle 4:49) decidono che dobbiamo tutti scendere
e salire sul treno che ci aveva spinto in stazione, così avremmo spinto il
treno rotto su un binario morto e avremmo proseguito il viaggio.
Durante l’attesa in stazione ho discusso con un ferroviere che ha
avuto la pessima idea di dire ad alcuni passeggeri che dovevamo ringraziarli,
perché stavano cercando una soluzione, perché, per regola, loro potevano
andarsene e lasciarci lì. Ad un soggetto del genere è inutile parlare, volevo
legarlo sui binari, ma avrei perso tempo: quando sarebbe passato un treno per
investire un simile soggetto? Mai, vista l’inefficienza delle ferrovie. Dopo
aver discusso con quest’altro grande membro di Trenitalia, sono salito sul
treno. Finalmente, alle 7:50 (dopo oltre tre ore a Frosinone -tempo adatto ad
organizzare qualsiasi tipo di assistenza) ripartiamo sul terzo treno. Il vagone
dove sono è pieno di ragazzi, scherziamo sulla nostra Odissea, siamo felici,
ormai casa è vicina e si discute sulla colazione da fare insieme; che persone
ottimiste: quale colazione, il viaggio è ancora lungo!
Alle 8:30 ennesima tappa del nostro calvario: il treno si ferma in
aperta campagna (credo in territorio di Ceccano, ma non sono sicuro). Un
ferroviere passa e ci dice; vado a vedere che succede; dopo un’ora (ma non sono
sicuro del tempo), dall’altoparlante del treno (allora funziona, brutti membri
perché non lo avete utilizzato prima, per darci informazioni?) una voce, poco
sicura di ciò che stava per dire, ci avverte che il treno è rotto e che stavano
venendo da Cassino per rimorchiarci!
Per la prima volta mi sono sentito per un attimo perso, incapace
di reagire. Per fortuna è durato un attimo.
Dopo un po’, la stessa voce poco convinta ci dice che è partito un
mezzo da Piedimonte per trainarci, in 40 minuti sarebbe arrivato. Mentre
scherziamo con gli altri passeggeri, un ragazzo ci comunica che il padre e
altri genitori e parenti, sono a Piedimonte e nessun mezzo era ancora partito.
Cavolo, dopo la strategia del silenzio, Trenitalia era passata a quella delle
menzogne! Di ferrovieri nemmeno l’ombra, tutti rintanati e nascosti. Ad un
certo punto, un uomo e una donna (altri due membri di Trenitalia), abbandonano
il treno e se ne vanno a piedi. Certo non erano in servizio (immagino) ma in
una situazione di emergenza dovevano restare sul treno e aiutare a gestire
l’emergenza… giusto, aiutare chi? Anche il personale in servizio non faceva nulla!
Durante questa ennesima tappa, l’Italia migliore ha mostrato il
suo volto più bello, quello che mi rende orgoglioso di essere Italiano: alcune
persone hanno fatto del tè caldo e portato qualche merendina per i passeggeri.
Impensabile che dei privati potessero soddisfare i bisogni di così tante
persone che da 21 ore erano in viaggio digiuni e senza dormire. Quel loro gesto
è stato un abbraccio caldo per il mio cuore; quando sono arrivati a portare tè
e merendine sulla nostra carrozza, si sono scusati perché non riuscivano a
darci ciò di cui avevamo bisogno. Delle persone che avevano avuto il buon cuore
di aiutarci si scusavano, che gente meravigliosa! Sulla nostra carrozza abbiamo
dato la precedenza alle donne e ai bambini. C’erano una bimba ed un bimbo (due
fratelli marocchini che potevano avere, credo, l’età di due anni e un anno)
deliziosi e buoni (dopo quasi 24 ore di viaggio) che hanno mangiato le
merendine e bevuto il tè. Cazzo! Trenitalia nemmeno dei bambini si è
preoccupata.
Un’altra ragazza straniera, passeggera come noi, ha offerto il suo
prosciutto, dividendo quel poco che aveva con gli altri: che persona buona, che
esempio per molti di noi. Ormai avevo deciso che era meglio resistere, avevo i
crampi allo stomaco e bisogno di andare in bagno, ma avrei mangiato a casa.
Una scena bellissima è stata vedere quei genitori che hanno
raggiunto il treno per recuperare i propri figli. È stato bello, vedere e
percepire il calore di quegli incontri. Mi chiedo: se privati cittadini ci
hanno raggiunto, la potente Protezione civile, la magnifica Trenitalia come mai
non ci sono riusciti? La verità è che di noi non fregava nulla a nessuno,
eravamo persone di nessun valore per loro.
Alle 11:45 ci rimorchiano e
alle 12:45, dopo 22 ore e 5 minuti, finalmente raggiungo Cassino (138 km
ferroviari da Roma), la mia Itaca.